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Allenamento

Supercompensazione Muscolare | Tutto Spiegato!

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Scrittore ed esperto7 anni In
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Dallo scrittore Myprotein Leonardo Cesanelli, laureato in Scienze e Tecnologie Alimentari, laureando in Nutrition and Functional Food.

Supercompensazione Muscolare

Introduciamo ora un concetto molto importante, la supercompensazione, definibile come un processo fisiologico che si verifica in seguito ad un lavoro/stress muscolare, in grado di portare per l’appunto il tessuto muscolare ad una fase di stress (fase catabolica) per poi in seguito ad un periodo di recupero/riposo condurlo ad una successiva fase riparatoria, di crescita ed adattamento muscolare (fase anabolica).

Nella fase anabolica l’organismo compenserà dapprima lo stress creato nella fase catabolica ritornando alla situazione di partenza ma se messo nelle dovute condizioni supercompenserà la stessa amplificando gli effetti anabolici della prima fase e gettando le basi per il miglioramento.

Qualora dunque l’organismo fosse sottoposto a una serie di stimoli ravvicinati omogenei, di entità crescenti, e con le dovute fasi di recupero la sua risposta consisterà, nel tempo, in modificazioni sempre più stabili e consolidate.

In definitiva perciò, l’organismo tenderà a rispondere ad ogni azione che ne modifichi l’equilibrio, con una reazione che potrà eccedere l’azione, spostando l’iniziale normalità a un livello più elevato, superiore. Questo concetto, che è alla base dell’allenamento sportivo moderno, viene definito dagli esperti dello sport appunto, come capacità di supercompensazione dell’organismo.

1. Gli studi

Studi su questo fenomeno risalgono agli inizi del ‘900 dal patologo tedesco Weigert, che studiando i processi riparativi (cicatrizzazione) di tessuti danneggiati notò come l’organismo dapprima ripristinerà il tessuto danneggiato per poi generarne in eccesso, fenomeno definito per l’appunto “legge di Weigert”.

Questo fenomeno venne successivamente confermato da Pavlov, fisiologo russo premio Nobel per la medicina (1904) così come altri ricercatori e medici negli anni successivi. In particolare, Jakovlev gli inizi degli anni ’50 stabilì come il principio secondo il quale: “il processo primario della disintegrazione provoca o potenzia sempre la reazione responsabile della resintesi” anche per quanto riguarda i processi di resintesi del glicogeno.

Notò infatti come il contenuto di glicogeno diminuito dopo il lavoro, durante il periodo di riposo, non solo aumentava fino a raggiungere il livello iniziale ma che superasse tale stato iniziale.

Le ulteriori ricerche, condotte da N. Jakovlev e dai suoi collaboratori, hanno dimostrato che il fenomento della supercompensazione è corretto anche per il creatinfosfato, per le proteine enzimatiche e strutturali, per i fosfolipidi, per la quantità di mitocondri nelle fibre muscolari, cioè, per tutte le sostanze che vengono utilizzate o alterate, in una certa misura, durante l'attività muscolare e vengono risintetizzate nel periodo successivo al lavoro (Jakovlev 1983; Jakovlev 1986).

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2. L'importanza del riposo

Dunque è facile evincere l’importanza del riposo successivo al lavoro muscolare, momento in cui il potenziale energetico e lo stato muscolare normale non solo vengono ripristinati ma per un determinato periodo si creano addirittura le condizioni per una capacità di lavoro più elevata.

L’entità di questo processo e la rapidità del suo sviluppo sono direttamente proporzionali all’intensità dell’utilizzazione delle sostanze durante il lavoro (scorte di glicogeno ad esempio o “danno” muscolare), mentre la durata del mantenimento della fase di supercompensazione è proporzionale all’entità assoluta delle sostanze utilizzate.

Jakovlev afferma nei suoi studi come questo processo si estenda a tutte le sostanze utilizzate e demolite durante il lavoro muscolare ad eccezione dell’ATP, che viene in gran parte resintetizzato durante il lavoro muscolare, per quanto riguarda la sintesi proteica, questa richiede un grande dispendio energetico per cui inizierà soltanto nel momento in cui vengano recuperate tutte le fonti energetiche depletate in precedenza e necessarie allo scopo (creatinofosfato e glicogeno).

Studi condotti alla fine del ‘900 (Verchoshanskij, 1983) mostrarono come somministrazione di carichi concentrati caratterizzati da un impegno isolato esplosivo di forza (volumi elevati di carichi specializzati di forza concentrati in un breve periodo di tempo) durante la preparazione di atleti di alto livello, tutti i parametri della potenza meccanica (esterna) di lavoro diminuivano per poi ritornare al livello iniziale e superarlo successivamente anche del 30%.

Questo effetto venne dapprima definito come EARLT “effetto di allenamento ritardato a lungo termine” relativo a carichi concentrati di forza.

Cerchiamo di essere un po’ più chiari: per carico concentrato di forza viene inteso un periodo di tempo relativamente breve dalle 2 ad un massimo di 10 settimane e non di intensità elevata, visto che di per se la “concentrazione” dei carichi di lavoro rappresenta di già il fattore “intensificante”.

L’intensità dovrà però essere in ogni caso crescente. Verchoshanskij riportò come questo approccio si rivelò efficace non solo nel favorire lo sviluppo della forza muscolare ma anche come mezzo di intensificazione del lavoro dell’organismo atto ad aumentaro il potenziale energetico dell’organismo dell’atleta in questione.

Riallacciamoci al concetto di supercompensazione: gli stimoli allenanti concentrati, provocando come detto una prolungata alterazione dell’omeostasi, costringono un organismo adattato in modo specifico a mobilitare le proprie possibilità di riserva, attivando e stabilizzando tutti i meccanismi di compensazione del metabolismo garantendone un passaggio ad un nuovo e “più elevato” livello d’adattamento.

Difatti nel momento in cui i carichi verranno diminuiti e l’intensità dello stesso cambirà il risultato sarà quello di un aumento del livello delle funzioni psicofisiologiche con successivo passaggio alla fase di supercompensazione, associata a migloramento della capacità di lavoro, dello stato funzionale del sistema cardiovascolare e del tono muscolare (Susman, 1985).

Effetti analoghi sembrano verificarsi in seguito ad allenamenti in permanenze di breve durata in altitudine media (2000 m s.l.m) ovvero in condizioni di ipossia naturale come “fattore supplementare”, pratica usata nelle preparazioni di diversi sport. Al ritorno all’altitudine normale (livello del mare) atleti come ciclisti, nuotatori, podisti hanno mostrato parametri relativi alla massima capacità aerobica, massimo consumo di ossigeno VO2max, ecc… simili a quelli verificati con l’EARLT e dunque con miglioramenti delle performance.

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3. Periodizzazone e programmazione

Abbiamo utilizzato questi esempi per dimostrare quanto importanti siano i concetti di periodizzazione e programmazione dell’allenamento per far sì che considerazioni e discorsi come quelli relativi alla supercompensazione abbiano un senso.

Cerchiamo di analizzare ancora più nel dettaglio cosa succede in seguito a queste alterazioni dell’omeostasi dell’organismo. Da un punto di vista biochimico alla base vi è una prima intensificazione della demolizione degli acidi nucleici e delle proteine tissutali (fase catabolica) ed un successivo aumento della loro biosintesi (fase anabolica) che andrà ad aumentare il livello iniziale delle stesse.

Gli induttori principali di questa nuova biosintesi “adattiva” sono tutti i metaboliti cellulari derivanti dalla demolizione proteica e dunque saranno proprio le proteine in questione oggetto di resintesi, dunque il materiale costitutivo delle cellule e il corredo enzimatico catalizzante tutte le reazioni biochimiche coinvolte in tali processi.

Il periodo di recupero viene caratterizzato non solo dall’aumento della fase anabolica ma anche da una maggiore velocità di circolazione delle proteine nei muscoli, in grado di determinare un rinnovamento più veloce ed efficace della struttura molecolare e del complesso acto-miosinico e di altre proteine muscolari, eliminando metaboliti di scarto e migliorando la stabilità della funzione contrattile (Jakovlev 1986, Viru 1994).

4. Problemi della supercompensazione

Il problema più grande relativo alla supercompensazione è che ad oggi sono state effettuate moltissime supposizioni ma ancora non è statopossibile strutturare un metodo od uno strumento in grado di fornire in maniera istantanea dati totalmente affidabili sullo stato di recupero dell’atleta e se dunque fosse pronto per un nuovo stimolo attraverso l’allenamento, o all’intensità dello stesso o al contrario se il suo organismo avesse bisogno di ulteriore recupero.

Qualsiasi programma di allenamento non può infatti prescindere dal prendere in considerazione le variabili legate alle caratteristiche del soggetto in questione e per quanto teoricamente, scientificamente corretto risulterà più adatto ad uno e meno all’altro atleta.

Uno stesso carico esterno può rappresentare un carico interno molto differente tra soggetti diversi (risposte diverse allo stesso stimolo), dunque le modalità di recupero non possono senz’altro essere applicate indistintamente a tutti gli atleti soltanto in funzione del tipo di allenamento effettuato.

Così facendo il rischio sarà quello di ottenere miglioramenti nei soggetti in cui l’allenamento successivo coinciderà con la fine della fase di supercompensazione mentre in altri in cui il recupero non era ancora ultimato si andrà in contro a stasi o peggio a decrementi della performance.

5. Parametri fisiologici dell'atleta

Oltre alle caratteristiche intrinseche del soggetto ulteriori variabili che influiranno nella possibilità di valutare i parametri fisiologici dell’atleta giornalmente stabilendo in che condizioni si trovi lo stesso sono fattori esterni al “training” quali lavoro, relazioni sociali, fattori psicologici, sonno, fattori di stress sovrapposti a quelli causati dall’allenamento.

Ad oggi i parametri più utilizzati per valutare lo stato di stress e recupero dell’atleta risultano essere: frequenza cardiaca e pressione arteriosa, la prima con limiti legati all’impatto del sistema nervoso legato a pensieri, ricordi e previsioni e all’ingombro degli eventuali dispositivi da indossare durante la notte ad esempio, il secondo (pressione massima/sistolica e minima/diastolica) limitata principalmente dall’obbligo di utilizzo di sfigmomanometri da braccio.

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Altri esami come il pH delle urine o marker ormonali come testosterone e cortisolo (compreso il loro rapporto relativo) hanno invece il limite soprattutto gli ultimi il fatto della difficoltà di ottenere risposte e dunque nell’evidenziazione del problema in tempi accettabili oltre ai costi.

Un parametro utilizzato più di recente è risultato essere la variabilità cardiaca, ovvero misurando la distanza tra un battito cardiaco e l’altro, non fissa ma influenzata dai due sottosistemi del sistema nervoso autonomo, quello simpatico (accelerazione del battito) e quello parasimpatico (rallentando il battito). Attraverso analisi matematiche sono stati sviluppati sistemi in grado di valutare questa variabilità legata alla predominanza del sistema dell’attivazione (simpatico) o quello del recupero (parasimpatico).

Tuttavia i problemi legati alla rilevazione e alla modalità (l’atleta dovrebbe respirare in maniera controllata e rimanere in stazione eretta durante il periodo di analisi) e dunque precisione/attendibilità dei dati raccolti in tal senso ha suscitato parecchie perplessità.

Gli ultimi strumenti sviluppati, apparecchi digitali in grado di sommare molti dei parametri appena elencati sembrano essere ad oggi gli strumenti più affidabili e pratici per gli atleti e gli allenatori, dovremmo però sicuramente aspettare ancora per ottenere metodi e strumenti di alta precisione in tal senso.

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